Prologo
In
picturis autem aedificiisque consilium et prudentia fulget
artificiis.
Dispositio
praeterea et quasi figura quaedam animi ipsius inspicitur.
Ita
enim seipsum animus in operibus istis exprimit et figurat, ut vultus
hominis
intuentis in speculum, seipsum figurat in speculo
Marsilio
Ficino
La
fotografia di paesaggio, nelle sue attuali e più ampie declinazioni,
oscilla tra la certificazione "spinta" della realtà e,
all'opposto, un rifiuto della stessa, troppo solida e fattuale, in
favore di modi compositivi e linguistici caratterizzati da una
libertà espressiva assoluta, ingenuamente interpretata quale cifra
stilistica del “fare arte”.
All'atto
pratico, nell'evidenza dei sin troppi esempi prodotti dai canali di
comunicazione, ciò si risolve da un lato in immagini che ricalcano
esperienze vicine o coincidenti alla street
photography (autentico
volano della fotografia contemporanea tout court, espressione di una
ossessione alla registrazione di ogni singolo, ed insignificante,
istante della realtà attualizzata), dall'altro in pratiche
caratterizzate da una povertà di linguaggio diffusa e da una
altrettanto preoccupante incapacità tecnica (convenientemente celata
entro improbabili scelte stilistiche), in nome di una “autonomia
espressiva” che soltanto una critica compiacente ed insipiente può
proporre per arte.
Tale,
apparente, dualismo produce esiti, se si vogliono cogliere
correttamente segnali consolidati, non dissimili: a cominciare dalla
completa obliterazione dalle immagini e ricerche fotografiche del
dialogo realtà/rappresentazione; per arrivare alla ridefinizione del
concetto stesso di fotografia, nei termini di una disciplina ormai
completamente asservita a indirizzi curatoriali proni alle richieste
del mercato.
Potranno
sembrare, questi, temi oziosi e veniali, ma manifestano la totale
assenza di un dibattito critico capace di restituire credibilità
alle ricerche degli autori, e sottolineano anche l'incultura diffusa
dei profili professionali operanti in tale ambito che, perennemente
in fibrillazione, agitano una scena muta, priva di qualsivoglia
afflato poetico.
Il
risultato, a voler essere caustici come sin qui si è stati, sono
Immagini senza spessore, svuotate di quella dimensione della
conoscenza che autenticamente contraddistingue la creazione umana,
l'Immaginazione.
Immaginare
Immagini
l’artista
non aspiri a produrre un’opera di natura, ma un’opera d’arte
perfetta
Johann
Wolfgang Goethe
Lo
specifico della fotografia è la presenza del soggetto nell'immagine.
Una
presenza che vincola nel tempo e nello spazio il soggetto al
fotografo, e che contemporaneamente veicola la produzione
dell'immagine, per via chimica o numerica. L'immagine, quindi, si
manifesta quando l'autore sceglie il soggetto, soltanto in
quell'istante e in quel luogo, né prima, né dopo, né altrove: non
si dà fotografia “a memoria”.
E
di conseguenza l'ispirazione, l'idea, o più prosaicamente, le scelte
espressive necessarie alla composizione dell'immagine si manifestano
quando l'autore si accosta al soggetto. Ed è in quel momento che il
soggetto acquista significato, non in sé, ma come parte
dell'immagine, come elemento compositivo, che si dipana nel racconto
fotografico. Immagine e soggetto non coincidono, esprimono realtà e
verità differenti.
La
verità dell'immagine è duplice: la verità dello sguardo
dell'autore e la verità della rappresentazione, che è altro
rispetto alla realtà in essa contenuta.
I
codici tecnico, compositivo, espressivo, definiscono l'autonomia
della rappresentazione, e la svincolano dalla pretesa semplicistica
di essere soltanto mera riproduzione, e di risolvere l'immagine
fotografica quale registrazione fedele della realtà.
Lo
sguardo con cui il fotografo guarda il mondo, senza pretese di
giudicare o attribuire giudizi di valori, è filtrato
dall'Immaginazione, dalla capacità creativa di prefigurare ciò che,
ancora, non esiste e di realizzarlo nell'immagine.
Ed
ogni sguardo cristallizzato nella singola immagine racchiude una
scintilla di bellezza, capace di rivelare, illuminandolo, lo
splendore del vero. Una scintilla che si riverbera nello spettatore
che osserva l'immagine fotografica, e da qui si diffonde, come cerchi
concentrici sull'acqua.
Terres inconnues
Nuove mappe urbane di luoghi immaginati
La
città contemporanea si specchia e duplica nelle immagini, molte,
troppe, che costantemente ritraggono gli stessi luoghi, scorci,
visuali; immagini di immagini che svuotano gli spazi di ogni accento
interpretativo, secondo una estetica della distrazione e ripetizione
compulsiva. Si riproduce, non rappresenta, la realtà per condividere
esperienze mimeticamente identiche le une alle altre, con
soddisfazione e consolazione.
Le
città, si riducono, letteralmente, ad una percezione discontinua,
disattenta, divoratrice di facili e stucchevoli scenari, come
crisalidi immutabili; obliando, o peggio, ignorando la metamorfosi
continua della città, si perde anche la capacità di guardare, di
percepire, tali processi e di osservare con chiarezza i dettagli di
cui sono composti i luoghi.
Spesso
non si guarda con sufficiente attenzione, o forse non si è in grado
di cogliere ciò che non si può vedere ma soltanto immaginare e
prefigurare nelle immagini: le relazioni tra le cose, l'azione del
tempo sulle superfici corrose, i segni disturbanti della presenza
umana. Ed allora luoghi apparentemente privi di bellezza e
significato, temporanei ed eccentrici, assumono nuova forma, compiuta
e armonica, nelle fotografie che li rappresentano.
Sono
questi luoghi e spazi INCERTI, invisibili ai passanti e sconosciuti
ai percorsi che privilegiano contesti incantevoli. Fuori dalle mappe
non è dato sapere cosa ci può attendere; ci si perde,
metaforicamente, per poi ritrovare un tracciato entro cui procedere,
un pensiero che conduca la creazione, l'immaginazione. E ciascuno
affronta questo viaggio con il proprio portato culturale, pensieri
ed immagini che indagano e si sovrappongono agli oggetti reali sui
quali si sofferma lo sguardo.
Quelle
proposte in questo lavoro sono nuove mappe di luoghi immaginati che
appartengono all'essenza più profonda ed intima degli autori,
immagini che non rappresentano spazi reali, soltanto sguardi
irrequieti privi di certezze.